DE GASPERI E LA POLITICA

Intanto bisogna dire che Alcide De Gasperi aveva una formazione democratica cristallina. Credo che questa centratura democratica gli venisse dall’educazione austriaca alla partecipazione politica, che egli assorbì negli anni degli studi viennesi. Come per altri politici di quel tempo (Dossetti, La Pira, Fanfani), egli non poteva pensare a colpi di mano o a manovre irrispettose nei confronti dell’indirizzo popolare. La curia romana non aveva fiducia di questi uomini perché dominava l’ossessione del comunismo, considerato l’errore e quindi l’errore - secondo la formula del Vaticano - non aveva legittimazione e diritto di cittadinanza. Siccome il comunismo, in questa visione, era tutto sbagliato, allora non si poteva permettere che entrasse nella legalità. Per De Gasperi, invece, il comunismo aveva tutto il diritto di essere riconosciuto e la Democrazia cristiana doveva farci i conti democraticamente con questo partito.

Era il 1952. Il presidente nazionale dell’Azione Cattolica, Luigi Gedda, lavorava con i suoi comitati civici per alzare una barriera nei confronti dei comunisti. L’operazione era davvero riprovevole, perché praticamente i vescovi facevano politica attiva presentando candidati che non avevano spesso alcuna esperienza politica, ma si gettavano nella mischia unicamente con lo scopo di difendere gli interessi della Chiesa. I comitati civici erano lo strumento di un giochino che mirava ad una strategia molto più subdola. La mobilitazione delle suore, dei preti, dei credenti, tutti dovevano votare in conformità alla volontà dei vescovi che sceglievano arbitrariamente chi lanciare nell’agone politico. Una cosa obbrobriosa, anche perché molto spesso si trattava di candidati che approfittavano della Chiesa per fare i propri interessi.

De Gasperi era preoccupato e ci disse che se Gedda avesse voluto fare politica, nessuno gliel’avrebbe impedito, ma una cosa era entrarci attraverso un percorso politico, altra cosa era entrarci dal di fuori come rappresentante della Chiesa. Questa irruzione «religiosa» esterna era totalmente lontana da una modalità democratica dell’azione politica.

Si vedeva questa confusione fra i giovani che si erano fatti molto inquieti e allora decisi di andare in Trentino ad un incontro a Madonna di Campiglio con Carretto e la presidenza della gioventù Cattolica per precisare le nostre posizioni. Feci una relazione che fu oggetto di discussione. Parlai con De Gasperi a lungo e capii la sua contrarietà nei confronti dei comitati civici di Gedda e così tornai a Roma fermo sulle mie posizioni. Ma di lì a poco fecero fuori il presidente e l’asistente nazionale della Giac, prima toccò a Carretto e poi toccò a me.

De Gasperi si trovava in difficoltà a presentare la legge che portava al 63 per cento il gruppo di partiti apparentati nel caso che alle elezioni avessero ottenuto il 50,01 per cento di preferenze. Una subdola manovra che dava una specie di premio di maggioranza all´alleanza di governo fatta apposta per emarginare i comunisti. Era la cosiddetta "legge truffa" del 1953, che provocò grandi tumulti, anche perché si inseriva all’interno della cosiddetta "operazione Sturzo", ossia il tentativo di creare una alleanza di forze anticomuniste con l’intento di arrivare ad abbracciare perfino il Movimento Sociale in modo da evitare che un sindaco comunista potesse guidare la città di Roma alle elezioni comunali del 1952.

De Gasperi molto preoccupato e improvvisamente una persona entra nella scena dicendo: «Presidente, le dò una buona notizia: la Giac dissente da questa legge».

Nella grande compagine dell’Azione Cattolica ci fu solo un ramo dissenziente, il nostro, che si attirò gli odii di tutti. Era una posizione che fu totalmente frutto di una nostra scelta di campo, sostenuta dalla lettura di Maritain ma gli altri preti furono tutti contro di me. Fui oggetto di una vera e propria aggressione di palazzo che mi costrinse alle dimissioni e mi convinse a lasciare l’Italia per l’America Latina. Dopo aver fatto per qualche anno il cappellano sui transatlantici e un’esperienza in Algeria, nel 1960 decisi di accasarmi in America Latina dove tuttora risiedo facendo la spola fra il Brasile e l’Italia.

A quel tempo i vescovi tentarono di far politica attraverso i comitati civici, oggi i vescovi fanno politica di palazzo, cercando di influenzare le decisioni del popolo come nel caso dell’ultimo referendum sulla fecondazione assistita. Oggi, dopo cinquant’anni sono costretto, come cristiano e come prete, ad affermare ancora il principio della laicità della politica. Non è cambiato nulla dai tempi di De Gasperi. Nulla. Anche l´ultimo tentativo fato dalle forze di centrodestra di cambiare la legge elettorale riporta a quei metodi poco partecipati di fare politica con colpi di maggioranze senza un confronto politico aperto e davvero democratico.